Forse è solo tutta colpa di internet. Ormai è diventato impossibile tenere il conto delle bufale messe in giro. E in effetti, da qualche tempo, è diventata una consuetudine vedere il web e i social media invasi da fake news o notizie distorte. E, come se questo non bastasse, sempre più spesso la comunità scientifica viene presa di mira, bollata come inaffidabileecorrotta. Credere che ci sia una relazione fra i vaccini e l’insorgere dell’autismo è una delle bufale più diffuse in ambito medico che ha scaldato, negli ultimi mesi, non pochi animi.
Vero come la finzione
Circa cinquant’anni fa si diceva che la libertà poteva essere minacciata dalla scarsità delle informazioni, e invece oggi è esattamente il contrario. La rete, con la gran massa di informazioni che produce e smaltisce, ci appare problematica e ambigua, tanto ricca di opportunità quanto di insidie. In realtà sembra che i media e la rete non siano più dei semplici mezzi di comunicazione, anzi sono entrati in maniera così forte nella vita di tutti i giorni, da apparire ormai come il nostro vero e proprio habitat. È come se i nuovi medium fossero diventati veri e propri costruttori di realtà, aldilà della realtà stessa. Siamo davanti ad un depotenziamento del reale a vantaggio delle sue rappresentazioni, spesso false. Dalla vacanza al mare, alla morte di un vip, dall’attentato terroristico fino all’after party del weekend, tutto, insomma, sembra fatto per darne notizia sui social. Siamo nell’epoca della spettacolarizzazione di ogni piccolo frammento di vita, e poco importa se ciò che è appena stato condiviso sui social è reale oppure no.
Non è vero ma ci credo
Il 2017 è stato sicuramente l’anno delle bufale, l’espressione fake news è stata talmente citata che il Collins Dictionary Word l’ha scelta come espressione del 2017, mentre Wikipedia l’ha inserita tra le nuove voci, insieme a bufala e post-verità. Ma cosa ci spinge a credere alle fake news? Probabilmente la portata delle notizie false, che di solito citano fonti credibili, ma non veritiere, o ancora un particolare trasporto nei confronti della news. Tutto ciò ci induce a credere e ricondividere ciò che in realtà non esiste. Perchè molti giovani non sanno riconoscere le bufale? Uno studio dell’Università di Stanford ha provato a fornirci una risposta. Nel rapporto si definisce deprimente la capacità dei giovani di ragionare sulle informazioni presenti su internet. I nativi digitali che possono, senza problemi, passare da Facebook ad Instagram pianificando le diverse pubblicazioni ed hashtag performanti, quando devono valutare un’informazione che passa attraverso i social media vengono facilmente ingannati. Tra gennaio del 2015 e il giugno del 2016 i ricercatori hanno sottoposto gli studenti di scuole medie, superiori e universitari in 12 Stati a 56 diverse prove: in ognuna di esse lo studente doveva stabilire se e quanto erano affidabili le informazioni digitali presentate e per quale motivo.
I ricercatori dopo aver analizzato quasi 8mila risposte si sono accorti che la situazione era molto più grave del previsto. Ma non sono solo le bufale a preoccupare, lo studio ha anche evidenziato che i giovani non sanno riconoscere un contenuto pubblicitario da una notizia. Il problema non sono le pubblicità tradizionali, ma il native advertising. Quasi l’80% degli studenti di scuola media intervistati non ha capito, per esempio, che la scritta “contenuto sponsorizzato” indicasse un’inserzione pubblicitaria.
Smascherare una bufala? Si potrebbe insegnare a scuola
Le fake news sono perennemente accessibili grazie a internet, mentre parallelamente si è indebolito il controllo dei contenuti da parte dei media. Questo significa che ogni cittadino ora deve cominciare, e imparare, a pensare un po’ come un fact-checker. Per combattere la disinformazione perché non giocare d’anticipo e insegnare fin dalla scuola un metodo per riconoscere le bufale? Invece di limitarsi a smascherare le bufale, si potrebbero offrire strumenti di ragionamento per sviluppare il pensiero critico. È su queste basi che nasce in Uganda il progetto Informed Health Choices nato su ispirazione del best seller Testing treatments (Dove sono le prove?) scaricabile da qui. Il team dell’Informed Health Choices si ripromette, quindi, di insegnare al pubblico a farsi le domande giuste quando sono di fronte a un’affermazione che riguarda la salute.
È tutto un business
Lo scorso novembre un’inchiesta di Buzzfeed ha smascherato una rete di siti italiani creati appositamente per diffondere fake news, notizie copiate e disinformazione. Un vero e proprio business costituito da un network di 170 domini internet e diverse pagine facebook, tutte di proprietà della società Web365. I contenuti appartengono ad alcune categorie ben riconoscibili all’alto potenziale virale: articoli contro gli immigrati o che esaltano posizioni nazional popolari, pezzi di carattere religioso oppure post che puntano sul sensazionalismo e sul clickbaiting. BuzzFeed ha analizzato le interazioni e le condivisioni che i post di queste pagine hanno generato: in molti casi venivano addirittura superate grandi testate nazionali. Che dire poi del business delle fake news alimentari che promettono tutte la stessa cosa: vivere più a lungo, perdere peso in fretta, renderci più belli. E a testimoniare il successo di diete o alimenti ci sono spesso star della tv, vip e influencer che contribuiscono alla causa postando ogni giorno sui propri profili social immagini in cui consumano questi prodotti. Il messaggio, accompagnato spesso da un codice sconto con referral link, è chiaro e semplice: puoi diventare esattamente così a patto di seguire questa dieta, comprare quel libro o bere tutti i giorni almeno due tazze di thé.
Come Facebook combatte le fake news
È di pochi giorni fa la notizia della minaccia del colosso pubblicitario Unilever, il secondo più grande inserzionista al mondo (l’anno scorso ha investito in adv digitale più di 9 miliardi di dollari), che ha fatto sapere a Facebook e Google di smettere di fare pubblicità sulle loro piattaforme se non faranno di più per combattere le fake news. Ed ecco che il team di Zuckemberg qui la nota ufficiale si mette all’opera introducendo una nuova misura per contenere le fake news affidandosi alla voce e al parere di chi conta di più: gli utenti. Saranno le persone a dire se si fidano delle testate da cui apprendono informazioni e, più una fonte sarà ritenuta attendibile, più i contenuti che pubblicano guadagneranno visibilitànel News Feed. Una funzione che ridurrà sensibilmente la quantità di informazioni che transitano per i feed ma che andrà a migliorarne la qualità. Quando una storia verrà giudicata falsa, Facebook mostrerà l’analisi scritta da chi l’ha verificata, nella sezione sottostante. In Italia con la collaborazione e il supporto di Pagella Politica, firmataria dei Poynter International Fact Checking Principles, si potrà segnalare una storia giudicata falsa. Se la storia dovesse essere inventata o parzialmente non vera, sotto al post dell’amico (che sarà avvisato con una notifica di aver condiviso una fake news), Facebook mosterà un riquadro in cui farà vedere l’altra versione dei fatti con l’analisi degli esperti, togliendo importanza alla condivisione dal flusso del news feed. Se invece l’articolo risulterà essere fondato, il social introdurrà una sorta di etichetta che farà da garante sulla veridicità della storia.
Bufale e legalità
Dal 1° gennaio in Germania è entrata in vigore la prima legge al mondo contro i post offensivi, le fake news e l’odio online. Costringe i social network con più di due milioni di iscritti a cancellare i contenuti diffamatori presenti al loro interno, pena sanzioni che possono raggiungere anche i 50 milioni di euro. Secondo un’inchiesta di Deutschlandfunk nel primo mese, l’Ufficio federale di giustizia che controlla la legge ha ricevuto solo 98 reclami.
Anche la Francia sta lavorando alla sua legge contro le fake news. Annunciata il 4 gennaio scorso dal presidente Macron si chiamerà legge sulla fiducia e l’affidabilità dell’informazione. La legge antifake news sarà promulgata entro maggio.
E in Italia? Dal 18 gennaio è attivo il nuovo servizio dalla Polizia postaleche ha lanciato il progetto Red button. Il cittadino è in grado di segnalarealla Polizia.
l’esistenza di fake news. Qualora venga individuata con esattezza una bufala, sul sito del Commissariato di ps online e sui canali socialistituzionali verrà pubblicata una smentita.
Bad News: il vaccino contro le bufale
Si tratta di un gioco e contemporaneamente di un esperimento sociale è Bad news che invita l’utente a mettersi nei panni di un creatore di bufale. Il gioco è stato realizzato da un team dell’università di Cambridge assieme ad un collettivo di giornalisti e ricercatori olandesi Drog. L’ambizioso obiettivo? Svelare i meccanismi della falsificazione in rete: come nasce una notizia falsa, come si diffonde, che effetti provoca contro la rapida diffusione della disinformazione. Nel gioco il player deve riuscire a creare il caos, aumentando consenso usando l’unica arma delle notizie false, il tutto mantenendo un buon punteggio di credibilità per rimanere il più persuasivo possibile. Il tutto è abbastanza realistico. L’idea di base dell’esperimento è quello di fungere da una specie di vaccino contro le fake news; vestendo i panni di qualcuno che tenta di ingannare dovresti diventare abile ad individuare e smontare quelle stesse tecniche. Il rischio, però, è che diventi una palestra dove chi già lavora con le fake news può allenarsi. Staremo a vedere, fra sei mesi, infatti, risultati saranno pubblicati su una rivista scientifica.