Ogni Primo Maggio vengono condivisi migliaia di contenuti sulla festa internazionale del Lavoro, di cui molti hanno nel loro copy “non c’è niente da festeggiare”.
L’anno della pandemia è stato, nonostante le tante misure a supporto dell’economia, molto critico per l’occupazione andando ad infierire in modo particolare su specifiche categorie e settori.
Ma non sempre, come nel caso della ristorazione a pagare sono stati sia gli imprenditori che i lavoratori. Esistono settori che hanno avuto un boom ma che non hanno visto miglioramenti per i lavoratori.
In questo articolo approfondiamo la parte di mercato maggiormente contraddittoria da questo punto di vista: la cosiddetta “Gig Economy”.
Sostenibilità: il lavoro dignitoso
L’obiettivo 8 dell’agenda 2030 è incentivare una crescita economica duratura, inclusiva e sostenibile, un’occupazione piena e produttiva ed un lavoro dignitoso per tutti.
“Più o meno la metà della popolazione mondiale vive ancora con l’equivalente di circa due dollari al giorno. In molti luoghi, avere un lavoro non garantisce la possibilità di sottrarsi alla povertà. Questo progresso lento e disuguale richiede di riconsiderare e riorganizzare le nostre politiche economiche e sociali tese all’eliminazione della povertà” (Centro Regionale di Informazione delle Nazioni Unite).
Gig economy e lavoro dignitoso
Si può parlare nella stessa frase di gig economy e di lavoro dignitoso?
La gig economy, chiamata anche economia delle piattaforme, è una delle nuove forme di organizzazione dell’economia digitale. Può essere definita come un’economia caratterizzata dalla prevalenza di lavoratori freelance o con contratti a breve termine.
L’esempio più immediato è sicuramente quello dei riders, addetti alla consegna a domicilio di cibo e bevande ordinate tramite piattaforme ed applicazioni web nate per mettere in contatto clienti e aziende.
Il termine “gig” ha origine nella musica jazz, non è un acronimo; è stato coniato per la prima volta nel 1915 dai musicisti jazz riferendosi alle loro performance occasionali.
Se applicato a questo modello di lavoro moderno, il termine ‘gig’ è quasi sinonimo di ‘progetto’ o ‘flessibile’. Fondamentalmente sottolinea la natura unica della prestazione lavorativa che il lavoratore è chiamato a svolgere.
L’avvento della gig economy
Sempre più persone stanno scoprendo la gig economy come un modo per guadagnare. Ma com’è iniziata questa crescita esponenziale?
Dopo la crisi finanziaria del 2008, molte persone si sono ritrovate disoccupate o non pienamente occupate. Di conseguenza, la richiesta di posti di lavoro temporanei è cresciuta in modo esponenziale per trovare nuovi modi per compensare la perdita di reddito.
In molti si sono ritrovati con diverse occupazioni part time o freelance simultaneamente o a combinare un contratto fisso con alcuni lavori flessibili. Più le persone hanno iniziato a familiarizzare con la gig economy, tanto più questo modello si è diffuso.
Inoltre, nel bel mezzo della pandemia mondiale del coronavirus, i lavoratori della gig economy sono risultati essenziali per dare un senso di normalità e mantenere in vita i servizi che altrimenti non sarebbero sopravvissuti alla crisi, dalle consegne contactless di cibo e farmaci ai servizi di didattica online.
I vantaggi e gli svantaggi della gig economy
I vantaggi:
- Semplice accessibilità al mercato. Tutti possono entrare a far parte della gig economy, a prescindere dalle loro abilità;
- Possibilità di trovare il giusto equilibrio tra lavoro e vita privata;
- Orari di lavoro flessibili, spesso con la possibilità di scegliere quando lavorare e per quanto tempo;
- Scelta del tipo di lavoro o progetti a cui si vuole lavorare;
- Opportunità di lavorare ovunque nel mondo.
Gli svantaggi:
- La flessibilità, inserita come ipotetico vantaggio, spesso non è un potere nelle mani dei lavoratori, quanto in quelle dei datori di lavoro
- Non avere pensione, assicurazione sanitaria, congedi di malattia pagati dal proprio datore di lavoro.
- Poca sicurezza lavorativa per quanto riguarda gli indennizzi relativi a disoccupazione o termini di disdetta.
La tutela dei lavoratori della gig economy
I lavoratori della “gig economy” sono considerati come lavoratori autonomi e, pertanto, le piattaforme per le quali lavorano non sono assoggettate agli obblighi di contribuzione previdenziale.
I sistemi utilizzati dalle piattaforme per monitorare la qualità della prestazione, attraverso la valutazione effettuata dai consumatori, possono rappresentare una fonte d’insicurezza per il lavoratore. La valutazione che i consumatori attribuiscono ai lavoratori potrebbe influenzare le opportunità di lavoro futuro. Questi sistemi di valutazione potrebbero anche esporre i lavoratori a forme di discriminazione per le quali non è attualmente prevista l’estensione delle forme di tutela contemplate dalla legislazione del lavoro che solitamente si applicano al rapporto di lavoro subordinato.
Le tutele riconosciute a queste tipologie di lavoratori sono state, fin dalla nascita del sistema, pressoché inesistenti. Un settore in grande espansione, grazie al suo alto grado alto grado di flessibilità e autonomia ma con difficili vie di regolamentazione.
Numeroso sono state e, sono tutt’ora, le battaglie dei lavoratori in questione per ottenere un lavoro dignitoso.
Il grande colosso americano Amazon è alle prese con proteste dei dipendenti, che si vedono sottoposti a ritmi di lavoro troppo pesanti dati dall’algoritmo della società.
Amazon in questo anno ha visto impennare i suoi ordini e quindi il suo business, eppure l’azienda non ha mai ascoltato le richieste di ridiscutere i contratti da parte dei suoi lavoratori; nasconde un universo di sfruttamento e violazione del diritto del lavoro per cui anche il tempo di una pipì diventa extra, qualcosa da ottimizzare magari facendo ricorso alla più classica delle bottiglie di plastica.
Appelli ai sindacati, manifestazioni e scioperi hanno messo in luce quanto questa categoria di lavoratori sia una categoria invisibile, quanto manchi di diritti fondamentali, ottenendo però qualche risultato interessante.
Da marzo 2021 in Italia i riders di JustEat, hanno ottenuto il contratto della logistica. Per i sindacati, diventano dipendenti a tutti gli effetti, avendo garantiti paga base, legata ai minimi contrattuali e non alle consegne, TFR, previdenza, integrazione salariale in caso di malattia, infortunio, maternità/paternità, ferie, orario di lavoro minimo garantito, maggiorazioni per il lavoro supplementare, straordinario, festivo e notturno, rimborso spese per uso mezzo proprio, dpi adeguati, anche in riferimento al momento pandemico in corso, e diritti sindacali.
Buone notizie anche per i lavoratori di Deliveroo: il Tribunale di Bologna, sezione Lavoro, in una sentenza del 31 dicembre 2020, ha accolto un ricorso presentato congiuntamente dai sindacati Nidil Cgil, Filcams Cgil e Filt Cgil. L’algoritmo ‘Frank’ utilizzato da Deliveroo per valutare i rider è “discriminatorio”, penalizza chi si assenta dal lavoro non tenendo conto delle motivazioni, se per motivi futili o se invece, ad esempio, perché malato o in sciopero. Si tratta, afferma la segretaria confederale Tania Scacchetti, di “una svolta epocale nella conquista dei diritti e delle libertà sindacali nel mondo digitale”.
Non è, però, proprio tutto risolto: rimangono aperti alcuni snodi decisivi che speriamo si risolvano a favore dei lavoratori entro l’anno.
Nicole Di Salvo
Project Manager | Digital Innovation Days
Federica Berandi
Content Creator Trainee | Digital Innovation Days