Home / Blog / Un mondo senza plastica: utopia o progetto in corso?

Un mondo senza plastica: utopia o progetto in corso?

Indice dell'articolo

Un Mondo senza plastica è davvero possibile? È un utopia oppure è davvero possibile fare a meno della plastica?

È questo quello che cercheremo di capire insieme nella settimana di luglio dei Digital Innovation Days dedicata alla sostenibilità. 

Lo stato attuale.

La plastica è senza ombra di dubbio un elemento di distruzione degli ecosistemi.

Secondo uno studio americano del CIEL (Center for International Environmental Law), che considera le emissione generate per la produzione e lo smaltimento della plastica, la plastica aumenta l’effetto serra come 189 centrali a carbone, e l’impatto potrebbe addirittura triplicare entro metà secolo.

Solo nel 2019 la sua produzione, incenerimento e smaltimento, ha aggiunto in atmosfera più di 850 milioni di tonnellate di CO2, qui trovi lo studio completo, e entro il 2050, la produzione e lo smaltimento di plastica potrebbero generare 56 gigatoni di anidride carbonica, pari al 14% dell’intero bilancio di carbonio rimanente della terra.

Uno scenario tutt’altro che limpido quello dipinto dal CIEL, soprattutto se si considera che quella della plastica, è una vita senza fine.

La plastica dispersa nell’ambiente infatti, continua a produrre gas serra in ogni fase del suo ciclo vitale: dall’estrazione dei combustibili fossili, alla loro raffinazione e produzione, fino allo smaltimento in discarica, negli inceneritori, al riciclo e alla dispersione nell’ambiente, nei fiumi e negli oceani.

Sembra inoltre che tocchi proprio agli oceani farsi carico di assorbire una quantità significativa dei gas serra prodotti sul pianeta: fino al 40% di tutta l’anidride carbonica prodotta dall’uomo dall’inizio dell’era industriale è stata assorbita dagli oceani.

Ma purtroppo non è tutto:

Quella che è una naturale capacità degli oceani di assorbire e catturare l’anidride carbonica, è messa a dura prova, e fortemente limitata, a causa l’enorme quantità di plastica e micro-plastica dispersa in mare che, sottoposta alle radiazioni solari, emette a sua volta metano ed etilene (qui uno studio a riguardo dell’International Pacific Research Center).

Per avere un’idea di quanta plastica sia dispersa negli oceani, e soprattutto quanta ne “mangiamo”, ti suggerisco di guardare il documentario Seaspiracy su Netflix che esamina l’industria globale della pesca, sfidando le nozioni di pesca sostenibile e mostrando come le azioni umane causino una diffusa distruzione ambientale.

Per gli appassionati del tema e del cinema, il Festival di Cannes offre quest’anno diversi titoli davvero interessanti dedicati al tema ambiente.

Non riusciamo proprio a farne a meno.

Nonostante la gravità del problema, sembra proprio che non riusciamo a fare a meno della plastica, e l’espansione delle industrie petrolchimiche verso la produzione di materiali plastici è in aumento su tutto il pianeta, nonostante le limitazioni imposte dai vari governi mondiali.

L’ultimo decennio è stato caratterizzato da sforzi importanti in almeno 127 Paesi nel mondo, tra regolamenti, divieti e iniziative di sensibilizzazione del pubblico.

Pandemia e Plastica

Ma nonostante tutto, la pandemia ha marcato ancor di più il problema.

Se prendiamo in considerazione il periodo pandemico infatti, la pandemia ha visto registrare un’impennata nell’utilizzo della plastica monouso.

Se pur la pandemia ha rafforzato il pensiero positivo sull’utilità della plastica nella tutela della salute (vedi i dispositivi di protezione), dall’altro ci siamo trovati a dover far fronte ad un ritorno incontrollato e spropositato delle plastiche monouso: guanti, salviette detergenti, protezioni per i piedi, cuffie, rivestimenti per sedie, kit di abbigliamento per medici e operatori sanitari.

Ma non finisce qui.

La pandemia, e le relative quarantene, stimolando gli acquisti online hanno portato ad una crescita della produzione degli imballaggi, per non parlare degli ordini di cibo, cresciuti quest’ultimi  in media del 56%.

Ma pare sia ancora presto per dire se i numeri della pandemia saranno significativamente impattanti per l’ambiente a livello globale.

Ma è davvero impossibile quindi fare a meno della plastica? E riciclare, basta per risolvere il problema?

Riciclare non basta, diciamolo da subito.

Il processo di riciclo non è sempre efficace al 100%, e non tutto è riciclabile.

Sappiamo che per ridurre in modo significativo l’inquinamento, è necessario orientarsi verso la trasformazione e realizzazione di materiali biodegradabili e prodotti sostenibili.

Le tecnologie di Henkel permettono di realizzare buste, imballaggi e cannucce di carta che garantiscono performance paragonabili alla plastica, con un impatto ambientale inferiore, ma non nullo ovviamente.

Riciclare ha senso, ma va fatto nel modo giusto.

Riusciamo a riciclarne solo una piccola parte, con processi costosi e complessi.

L’idea che basti differenziare i rifiuti inoltre, rischia di spingerci a usare ancora più plastica.

Ed è sbagliato.

Nonostante il successo delle campagne per la raccolta differenziata, in gran parte dei paesi (ricchi) il riciclo della plastica continua a essere un’attività marginale, come scritto nel settembre del 2018 dall’OCSE in un rapporto, dove si scopre che a livello globale la quantità di plastica riciclata corrisponde al 14-18% del totale.

ocg saving the ocean rXjzIsQAQ w unsplash | Digital Innovation Days

Ed il resto della plastica che fine fa?

Il resto della plastica finisce in inceneritori e termovalorizzatori (24%) oppure è lasciato nelle discariche o disperso nell’ambiente (58-62%).

Riciclare non conviene a livello economico.

Buttare la bottiglia di plastica schiacciata nel bidone della differenziata è solo l’inizio del processo di riciclo, e non è detto che quella bottiglia diventerà qualcos’altro.

Se prendiamo ad esempio il Bel Paese, secondo uno studio dell’ISPRA, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, soltanto il 30% della plastica raccolta in Italia è riciclata. Un altro 40% viene bruciato in termovalorizzatori o inceneritori, e il resto finisce in discarica.

Il motivo di questi numeri così bassi è che sostanzialmente il processo di riciclo meccanico, oltre ad essere complicato, è oneroso e poco efficiente con i diversi materiali.

Quindi non serve a niente riciclare?

Sì, serve eccome. Ciò che ricicliamo ha comunque un forte impatto positivo sull’ambiente e sull’economia.

Dobbiamo fare di più e meglio.

La stragrande maggioranza della plastica riciclata nel mondo passa per un processo di recupero chiamato riciclo meccanico.

Questo processo avviene in fasi, che se vuoi approfondire, ti invito a guardare uno studio fatto nel 2017 da ricercatori Belga “Mechanical and chemical recycling of solid plastic waste” che trovi qui.

In sintesi, devi sapere che il riciclo meccanico prevede che la plastica sia selezionata, lavata e poi sminuzzata in scaglie finissime chiamate “flakes” che sono simili, ma non commestibili come quelli della nota marca. I “Flakes” vengono poi trasformati in granuli (più comodi per essere riutilizzati e trasformati a loro volta in nuovi oggetti di plastica).

Ma ciascuna di queste fasi, però, è complicata e presenta dei problemi che vedono protagonisti i diversi elementi che compongono le plastiche e la selezione delle stesse plastiche (ad esempio i rifiuti di plastica che gettiamo nella spazzatura provengono in gran parte dagli imballaggi, e per questo sono quasi sempre contaminati da sostanze organiche e inorganiche non polimeriche).

Questo processo meccanico implica costi significativi oltre a complessità e macchinari adeguati, e non restituisce un prodotto dagli standard qualitativamente alti e che possono sempre essere riutilizzati allo stesso modo.

Per questo, il riciclo della plastica non è un business sostenibile, ed a tratti è potenzialmente in perdita, se si escludono incentivi e sgravi pubblici.

Il vero costo da ridurre sarebbe quello ambientale. 

La scarsa redditività del riciclare plastica è diventata evidente a partire dal 2018.

Prima di allora, il 70% circa dei rifiuti plastici del mondo, in gran parte prodotto in Europa e Nordamerica, era raccolto, imbarcato su navi cargo e spedito in Cina: l’intero processo era più conveniente che riciclare la plastica sul posto.

Il riciclo della maggior parte della plastica del mondo era dunque lasciato alla Cina, ma spesso le cose non funzionavano e molti rifiuti erano abbandonati in discarica o dispersi nell’ambiente.

A partire dal gennaio 2018, però, il governo cinese ha approvato regole più restrittive, vietando l’importazione di diversi tipi di materiali, imponendo che i rifiuti fossero contaminati al massimo per lo 0,5 per cento. In questo modo l’invio si è praticamente interrotto, e le filiere del riciclo in Europa e Stati Uniti sono andate in crisi.

Successivamente Thailandia, Vietnam, India e Malesia hanno cominciato ad accettare plastica, ma sono poi dovute tornare sui loro passi visto l’ingente massa di rifiuti plastici che si sono trovate davanti.

C’è chi spera nel riciclo chimico.

Molti esperti sperano che i problemi e le inefficienze del riciclo meccanico della plastica potranno essere superati dal riciclo chimico o molecolare, una tecnica di cui si parla ormai da qualche anno, ma che non è ancora stata applicata su larga scala.

Il riciclo chimico è un processo di “depolimerizzazione”, che in breve significa: i materiali sono scomposti chimicamente nei loro elementi più semplici e poi riutilizzati. La tecnica più usata è la pirolisi, che usando il calore scinde i legami chimici della plastica per generare un materiale liquido che può essere usato per produrre nuovo materiale vergine.

Questo significherebbe che gran parte della plastica potrebbe essere recuperata al 100%. 

Per ora, tuttavia, il riciclo chimico è costoso,  e alcuni ricercatori sono scettici, in quanto i processi di pirolisi potrebbero rilasciare nell’ambiente tossine e sostanze tossiche.

Secondo l’industria, invece, il recupero chimico porterà i tassi del riciclo della plastica ai livelli di altri materiali come la carta e i metalli.

Ma tutto si poteva evitare.

Tutto questo deve farci riflettere sul fatto che in un futuro – che speriamo sia il più prossimo possibile – il nostro sistema economico assuma sempre più un assetto così detto “circolare”, in quanto l’approccio definito “lineare” – usa e getta – ha, e sta ampiamente dimostrando i suoi limiti portando sull’orlo di un baratro.

Eh si, potevamo evitarlo se solo avessimo fatto un uso più consapevole delle risorse, e se quella che per noi avrebbe dovuto essere la mentalità giusta, per le industrie avrebbe dovuto essere una sfida tecnologica verso l’innovazione.

Ma come ci stiamo muovendo?

Dal 3 luglio 2021 i paesi dell’Unione dovranno allinearsi alla direttiva europea sulla plastica monouso.

Con la direttiva europea sulla plastica monouso, l’Unione Europea vieta la vendita di una lunga serie di prodotti in plastica usa e getta, come posate, piatti e cannucce.

A partire dal 3 luglio 2021, infatti, tutti e 27 gli stati membri dovranno mettere in pratica la direttiva.

Quali prodotti saranno vietati dalla direttiva europea?

Nell’elenco compaiono: bastoncini cotonati, posate e piatti, cannucce, mescolatori per bevande, aste per palloncini, tazze, contenitori per alimenti e bevande in polistirene espanso.

Quali prodotti saranno ancora in commercio?

Bicchieri (non c’è traccia dei bicchieri in plastica usa e getta, ciò significa che saranno ancora in vendita in tutti i paesi dell’Unione), mascherine e guanti (via libera a tutti i dispositivi di protezione individuale largamente impiegati a causa dell’emergenza sanitaria in corso), palloncini (solo le aste saranno vietate, ma alle feste si potranno comunque usare i classici palloncini).

Una bella notizia sicuramente, ma in Italia?

In Italia manca il decreto di recepimento per dare attuazione alla direttiva, e non mancherebbero i contraccolpi economici, giuridici e ambientali.

Ad oggi esiste solo una bozza, e la cui discussione peraltro non risulta calendarizzata in Consiglio dei Ministri.

Ma non è solo questo il problema.

L’Italia è infatti tra i primi Paesi europei per la produzione di materiali plastici, e la messa al bando di questi prodotti rischia di provocare un aumento dei licenziamenti e delle chiusure di un intero settore industriale.

Inoltre la direttiva prende di mira sia le bioplastiche biodegradabili sia quelle non biodegradabili. 

Le uniche ad essere state estromesse dal bando sono state la cellulosa e la lignina, che andrebbero ad impattare in misura minore sull’ambiente.

La soluzione, come anticipato prima, non è soltanto data da una questione di mentalità sostenibile, ma anche dalla ricerca e dall’innovazione da parte dell’industria del settore, che ad oggi è ancora poco sufficiente.

Come essere parte della soluzione al problema plastica.

Voglio salutarti segnalandoti come possiamo anche noi, nel nostro piccolo, essere parte della soluzione a questo problema chiamato plastica.

Il mese di Luglio, è il #PlasticFreeJuly.

Ma cos’è il #PlasticFreeJuly?

Plastic Free July® è un movimento globale che aiuta milioni di persone ad essere parte della soluzione all’inquinamento da plastica, scegliendo di rifiutare la plastica monouso.

Se non lo conoscevi non preoccuparti, l’ho scoperto anche io poco tempo fa.

Sul sito https://www.plasticfreejuly.org trovi una quantità indescrivibile di suggerimenti e iniziative dedicate al tema e al mondo della sostenibilità in generale, con decine e decine di suggerimenti sul “come fare la cosa giusta” e essere parte della soluzione al problema plastica.Per partecipare al Plastic Free July®, ti basta iscriverti sul sito ufficiale e mettere in pratica tutti i suggerimenti. Provare per credere, ti renderai conto tu stesso di ciò che puoi fare.

Brand Ambassador

Luca Ferri

Photo Credits:

Photo by OCG Saving The Ocean on Unsplash

Photo by Marc Newberry on Unsplash

3SC06110
Palco di digital innovation Days Greenhouse, Emerging technologies

Parleremo di questo e molto ai Digital Innovation Days

Leggi altre news
0
    0
    Il tuo carrello
    Il carrello è vuoto