Intervista a Francesca Crescentini, alias Tegamini.

03/07/2017 | Digitale

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Il nostro viaggio alla scoperta dell’innovazione sul territorio questa settimana gioca in casa e fa tappa a Milano, nel regno di Francesca Crescentini, alias Tegamini. Ha conquistato il web con la sua spontaneità e le sue vestaglie (dice lei). Nel 2016, ha vinto il premio come migliore Snapchatter ai Macchianera Awards grazie ai suoi imperdibili racconti di vita quotidiana, alle prese con il marito Amore del cuore, il figlio Minicuore, un gatto nero di nome Ottone, e alla sua rubrica librini tegamini. L’abbiamo incontrata per conoscere più da vicino la sua storia e questo è quello che è venuto fuori!

1. Quando è nato Tegamini e com’è cresciuto il blog nel tempo?

Tegamini (più o meno così come lo vediamo oggi) è nato nel 2010, anno di nuovi inizi e di considerevoli slanci energetici. Lì per lì era veramente un gran pentolone e ospitava una miriade di micro-storie e annotazioni estemporanee che ora ho la possibilità di dirottare più efficacemente su altri social. Lo spirito di “contenitore imprevedibile” è rimasto, ma ho cercato di strutturare gli argomenti con un po’ più di precisione. Voglio continuare a farmi guidare dalla curiosità e dal gusto per la scrittura, senza però abbandonarmi al caos più completo. I cambiamenti più incisivi, direi, toccano l’idea stessa di blog (che ora fa parte di una rete più vasta di canali social che possono aiutarmi a raccontare il mio quotidiano o a dedicarmi a un tema preciso, alimentandosi a vicenda) e l’aumento significativo delle interazioni con le aziende e, di conseguenza, dei contenuti legati ai brand – con tutte le delicatezze gestionali ed editoriali che ne derivano.

2. Dal 2010 a oggi, il web è cambiato molto. Come hai vissuto queste trasformazioni?

Diamine, per rispondere sensatamente ci vorrebbe una tesi di laurea (anzi, una per ogni potenziale parte in causa: azienda, brand, blogger, fruitore “base”, agenzia digital, galassie conosciute e universi paralleli…), ma cercherò di farla breve. Nasco ottimista, poi capita che mi ridimensioni. La sensazione è che sia successo tantissimo e che ci sia ancora della strada da fare perché questo “tantissimo” possa essere davvero gestito e padroneggiato in maniera del tutto razionale e positiva. La cosa bella – e complicata – è il moltiplicarsi dei linguaggi e delle possibilità espressive e narrative. Prima il mezzo privilegiato era la parola scritta, ma ogni nuova piattaforma ha ampliato lo spettro, rendendo l’immagine (più o meno in movimento) una componente centrale. I contenuti sono diventati più ricchi e complessi – il che è una buona notizia per chi ha voglia di sperimentare e parecchio da raccontare – e anche un po’ più “democratici”, almeno a livello di produzione. Si vedono solo meraviglie? Affatto. La gestione della propria presenza sul web è diventata più semplice? Nemmeno. Si sfocia spesso nell’inopportunità? Certo. Ma mi piace pensare che prima o poi riusciremo a metabolizzare la grande libertà che abbiamo a disposizione, impegnandoci a migliorare gli spazi che popoliamo.

3. La modifica dell’algoritmo di Facebook ha gettato molti addetti ai lavori nel profondo sconforto. Si può vincere la battaglia contro l’algoritmo di Facebook anche senza ADV?

No, per definizione. Se Facebook decide di strutturare l’algoritmo in modo che emergano i post sponsorizzati (o determinati formati) non penso ci siano troppi appigli per opporsi coraggiosamente. Da utente, però, credo che l’occasione sia propizia per intervenire attivamente su quello che mi viene proposto. Da buffa inventrice di cose da leggere e da guardare, invece, sono convinta che sia saggio coltivare la propria community con attenzione, cercando di creare interazioni di qualità. Mi piace pensare che si possa crescere in organico proponendo contenuti riconoscibili, curati e con una “voce” che riesca davvero a raccontare qualcosa di rilevante per l’utente. Si cresce più lentamente e in maniera meno eclatante, ma si cresce insieme a un pubblico che “c’è” davvero.

4. Com’è sbocciato l’amore per Snapchat? Dopo quanto tempo hai iniziato a vedere i primi risultati?

Ho cominciato a usare Snapchat un annetto fa, quando sono rimasta a casa in maternità. E credo di aver avuto (seppur involontariamente) un buon tempismo, visto che in quel periodo la piattaforma (almeno in Italia) stava registrando il primo vero momento di grande crescita. L’esordio è stato all’insegna della più totale cialtroneria – I FILTRI CON LE BESTIOLE! –, poi ho cercato di escogitare un modo per rendere “utile” il canale e ho iniziato a parlare di libri, creando una mini-rubrica di consigli letterari che continua ad apparire all’improvviso mentre racconto i fatti miei. La combinazione ha funzionato… anche se credo sia tutto merito delle mie straordinarie vestaglie.

5. Qualche istruzione per l’uso: come fare ad andare oltre la frustrazione iniziale e iniziare a muovere i primi passi su Snapchat?

Il fastidio dell’interfaccia non si supera, secondo me. Ma si impara a conviverci. Certe macchinosità svaniscono con l’allenamento e, a quel punto, il problema diventa chi seguire e cosa guardare. Temo di non essere la persona più adatta a raccomandare trucchi, scorciatoie e snellimenti metodologici – non mi è mai venuta voglia di sfornare manco il mio Bitmoji, figuriamoci -, ma l’unico consiglio che posso dare è di osservare bene quello che succede e di sperimentare (senza particolari manie di grandezza o aspirazioni da cabarettista).

6. La tua rubrica librini tegamini è stato un vero successo. Pensi che possa essere visto come un segnale che, anche settori tradizionali come l’editoria, debbano esplorare nuovi linguaggi per arrivare al pubblico?

Non ho la pretesa di ergermi a segnale capace di indicare la rotta a un intero settore, ma quel che posso dire è che, su internet e sulle varie piattaforme, i libri sono un tema sentito e vivace. Le statistiche continuano a confermarci che i lettori sono pochi, ma quei pochi sembrano frequentare i social e utilizzare il web in maniera piuttosto massiccia – come fa ormai qualsiasi consumatore, mi viene da dire. Credo che l’editoria, in un contesto di questo tipo, abbia l’enorme vantaggio di un prodotto ricchissimo: il libro è un oggetto narrativo capace di informare, intrattenere, emozionare. Chi vende grissini o detersivi (con tutto il rispetto per grissini e detersivi) non ha una tale fortuna, in termini di spendibilità contenutistica (e quindi “social”) della propria offerta – e i brief che arrivano alle agenzie digital richiedono tipicamente di far diventare ICONIC, UNCONVENTIONAL ed EMOTIONAL un mattone, ad esempio. L’editoria non avrà mai questo problema, penso, ma ce ne sono altri. Le case editrici (soprattutto quelle di lungo corso) non sono quasi mai strutturate per metabolizzare tempestivamente le novità o per gestire in tempo reale un’interazione come quella che una presenza social comporterebbe. E, anche quando la cultura aziendale aiuta, ci sono spessissimo problemi di organico, competenze, budget, organizzazione e di legittimazione gerarchica di un investimento di questo genere. Sarebbe bellissimo inventare un progetto digital per ogni libro che esce, insomma, ma non sempre ci si riesce e non sempre si trova il modo di lavorare su Twitter come ha fatto Einaudi. O di alimentare un portale come Il Libraio, di GeMS. O di usare il web e i social come una leva promozionale e di approfondimento costante come succede da NN o Minimum Fax.


7. Su Instagram stories hai lanciato la serie PuPAZZI. Come ti è venuta in mente questa nuova “rubrica”?

Instagram Stories è stato a lungo un mistero. Da utente di Snapchat, ho vissuto la parziale fuga sull’altro canale di parecchie persone che seguivo – e non posso di certo biasimarle. La situazione è ancora fluida, confusa e ricca di sovrapposizioni, visto che il trend generale è ancora un po’ quello del “devo esserci assolutamente – sempre, ovunque e comunque”. Non volendo replicare su Stories quello che faccio su Snapchat, ho usato Instagram molto poco – e, sulle prime, quasi esclusivamente quando mi veniva richiesto da un cliente. Un pomeriggio, però, ho casualmente capito che cosa dovevo farci. Ero a quattro zampe sul tappeto insieme a Minicuore, stanca come un asino e seppellita da due metri cubi di giocattoli assurdi. Io, di base, sono una mamma allegra, ma ad alcuni momenti di coma (a cui tipicamente si accompagna l’acuto desiderio di una solerte tata inglese) non si può sfuggire. Ammetterlo è disdicevole, però, perché l’universo ci vuole multitasking, euforiche, esultanti e devotissime alla prole – ma anche indipendenti, autoironiche, montessoriane e pazientissime. Non sentendomi all’altezza della complessità del ruolo, ho affidato i miei sentimenti ai PuPAZZI. Sono le tre e mezza del pomeriggio ma ti sembra di essere sveglia da tutta la vita? C’è un PuPAZZO che potrà gridarlo impunemente al mondo. E così è andata. Stories mi sembrava il mezzo più adatto per un “fotoromanzo”, visto che ha una gestione dei testi molto più elastica di quella di Snapchat e c’è amore e comprensione anche per le immagini statiche.

8. Tra i tuoi canali social hai anche YouTube, ma non è molto aggiornato. Come mai hai scelto di “abbandonare” questo canale?

Per presidiare dignitosamente Youtube non credo basti piazzarsi su una seggiola e sfornare un monologo di 18 minuti in piano sequenza, un po’ come quelli che producevo io. Trovare qualcosa da dire non è mai stato un problema per me, ma i video vanno editati, montati, musicati e sistemati in una miriade di modi che non ho mai avuto il tempo (e neanche l’impellente esigenza, devo dire) di apprendere con sufficiente scioltezza. La “gloria” è migrata su Youtube (e Facebook privilegia il formato video), è vero, ma se al momento non mi sembra di poter creare dei contenuti all’altezza, preferisco astenermi.


9. Utilizzi qualche tool o strumento per la gestione dei tuoi canali social?

Tweetdeck. E stop. 🙂

10. Per concludere una domanda scontata ma indispensabile: tre libri che non possono assolutamente mancare nella valigia quest’estate?

Le ultime cose belle che ho letto – e che consiglio con trasporto – sono The Handmaid’s Tale di Margaret Atwood (in italiano, Il racconto dell’ancella, pubblicato da Ponte alle Grazie), Non dimenticare chi sei di Yaa Gyasi (Garzanti) e Il giro del miele di Sandro Campani (Einaudi). Nella mia wishlist estiva, invece, ci sono The Idiot di Elif Batuman (perché I posseduti era un prodigio e voglio leggere tutto quello che mai al mondo deciderà di scrivere), I Hate the Internet di Jarrett Kobek e La ricerca del leone di Russell Hoban.

Vuoi saperne di più su Snapchat e Instagram? Non perdere l’appuntamento con i nostri workshop!

Ilenia Dalmasso

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